08/11/2023
LUBO di Giorgio Diritti
La quinta pellicola in carriera del regista ha potuto raccogliere il plauso del pubblico e della critica presente. Consensi meritati per un’opera munita tanto di una presenza esperta dietro la cinepresa come quella di Diritti, quanto quella di un attore dai tratti e dal talento indelebili come Franz Rogowski. Chiamato ad interpretare una storia importante e toccante come quella di Lubo Moser tratta dal romanzo di Mario Cavatore, “Il seminatore”.
Con una precisione quasi documentaristica, Diritti riporta a galla la vita di un uomo la cui storia rimane poco conosciuta, denunciando la deportazione dei bambini Jenisch.
Lubo è un artista di strada che nel 1939 viene chiamato alle armi dal governo elvetico. Da questo punto in poi seguono diverse vicende che porteranno il protagonista a commettere un omicidio, cambiando identità.
Con questa nuova opera Diritti permea in un dualismo costante: tra la sua natura artigianale ed invece una dimensione autoriale, quasi volontariamente artificiale.
Se nella parte iniziale vi è un rapporto fisicamente faticoso ma diretto con i luoghi comuni del regista, Lubo invece cade in una natura estranea al regista, osando un approccio alle forme del thriller e del poliziesco. Dal punto di vista narrativo non si percepisce l’intensità di “L’uomo che verrà” o di “Il vento fa il suo giro” mentre il peso della recitazione costruita, volutamente straniata da Rogowski viene calibrata fin dalle prime inquadrature.
Malgrado gli elementi messi in evidenza, l’opera evita di gran lunga l’effetto cartolina. Si presenta dunque come una pellicola dalle mille storie, un monito solido, compatto per comprendere il passato e riflettere sul presente. Riflessione guidata meticolosamente da Diritti che, come suo solito, non smette di restituire voce e dignità alle vicende e i protagonisti delle storie che narra.
Nora Zine