11/11/2023
COMANDANTE di Edoardo De Angelis
Il sottomarino, con un equipaggio intorno ai 60 uomini, era in una missione di pattugliamento a 700 miglia dalle coste africane, quando avvistò e poi colpì con i siluri e poi con il cannone di bordo, un piroscafo di nazionalità belga, il “Kabalo” che trasportava dell’armamento per l’esercito inglese, allora in guerra con l’Italia. Tuttavia, il comandante Todaro, persona dalle ferme convinzioni ma anche uomo che ben conosceva e rispettava la legge del mare, nel momento dell’affondamento della nave fece una scelta molto umana che passò alla Storia: decise di salvare i ventisei naufraghi belgi condannati ad affogare in mezzo all’oceano. Dopo averli ospitati a bordo del sommergibile, li fece sbarcare, incolumi, sulla costa delle isole Azzorre.
A impersonare con incisività e con un po’ di dialetto veneto (Todaro aveva origini chioggiotte) questo nobile comandante dai toni premonitori è Pierfrancesco Favino. Tra echi di melodramma (i ricordi di Todaro: le scene della moglie che suona nuda al pianoforte Mascagni ripresa di spalle, i pensieri alla figlia che sta per nascere) i pensieri delle infermiere che consolano chi resta e chi parte per non tornare più, e le forme di folkloristico cameratismo all’italiana dell’equipaggio nell’angusto silurante, (il coro iniziale al passo di “Un’ora sola ti vorrei”, i marinai dai mille dialetti italiani, il commovente canto di “’O surdato ‘nnammurato”, oppure le disquisizioni sulle patatine fritte dei belgi), il film di De Angelis riesce a evitare la retorica ben accorpando i momenti dell’azione bellica, che occupa la seconda metà del lungometraggio, con l’atmosfera a bordo del sottomarino. Tratto da una sceneggiatura scritta a quattro mani con Sandro Veronesi, De Angelis (già a Venezia nel 2014 con “Perez”, fuori concorso, e con “Gli indivisibili” nel 2016 alle Giornate degli Autori) ci offre la figura inedita di un uomo di mare dalla grande umanità, che troverà la morte in battaglia soltanto due anni dopo, nel 1942, senza conoscere sua figlia.
Andrea Curcione