17/09/2024
Joker: folie à deux, a chi è servito davvero?
L’unico colpo di genio sta nel titolo. La «follia a due» è un disturbo psicotico in cui due individui a stretto contatto ed isolati dal resto del mondo, alimentano reciprocamente le proprie sindromi arrivando a condividerle. Prometteva bene, dunque, il sequel di Joker (2019) di Todd Phillips: due degli «psicopatici» del mondo dei fumetti per eccellenza, Joker e Harley Quinn, che condividono la loro follia in un cinecomic elevato allo stato dell’arte. Perché Phillips, vincendo il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2019, secondo molti aveva contribuito ad abbattere delle barriere, trasformando un film su un cattivo dei fumetti in un capolavoro d’autore. Complici quindi, forse, le aspettative, ma qualcosa in Joker: folie à deux non ha funzionato.
Il Joker di Phillips si presenta come una villain origin story a sé stante rispetto all’universo DC. A Gotham City, mentre il miliardario Thomas Wayne si candida a sindaco, la trama segue Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), un aspirante comico reietto, emarginato dalla società che ne fa zimbello per via del suo disturbo psichico. Dopodiché, il film spiega il progressivo sprofondamento nella follia omicida di Fleck, che ben presto diventa il famigerato Joker.
Il sequel, presentato ancora una volta al Lido, si colloca poco dopo la fine del primo capitolo, mentre il protagonista attende il processo per i suoi crimini, internato all’Arkham State Hospital. Qui, fra le beffe e le violenze dei secondini e degli altri detenuti, incontra Harleen «Lee» Quinzel, alias Harley Quinn (Lady Gaga). I due iniziano una storia d’amore e violenza in un mondo immaginario fatto di numeri musicali e cabaret (che qualificano il film come musical). Durante tutto il processo, Arthur vive un dilemma: seguire ciò che Harleen vuole per lui, ovvero vestire i panni del Joker e diventare il Principe del Crimine; o tentare di redimersi ed essere il remissivo e contrito Fleck?
Ciò che delude in primis è la performance sottotono di Lady Gaga. Lee è un personaggio «poco scritto», con un carattere non ben definito ed un’entrata in scena debole rispetto al potenziale. È vero che siamo ancora agli albori delle cronache di Gotham e che non parliamo della protagonista del film, ma persino l’ossessione di lei per Arthur non è «abbastanza malsana» da renderla una degna spalla. Phoenix invece regala un’interpretazione al solito ottima, ma si limita a ricalcare quella del primo film che tanto aveva fatto innamorare i fan, ma è per l’appunto già stata vista. Apprezzabilissimo Brendan Gleeson, per quanto in un ruolo marginale.
La parte di musical si amalgama poco con il resto della trama. I numeri musicali non la fanno progredire, ma anzi, sembrano rallentarla. Risulta poco chiaro se e quando sia Arthur che Lee vivono in questo mondo immaginario, o ci vengono mostrate le fantasie di solo uno dei due.
Nota positiva di queste sequenze è la possibilità che danno alla regia di sperimentare con citazioni della Old Hollywood, messe in scena teatrali e montaggi botta - e - risposta.
Anche questo film contiene poi delle pesanti ed efficaci critiche sociali. In particolare, nelle scene più sul genere thriller che denunciano un sistema carcerario e sanitario carente, ingiusto e violento.
Folie à deux ha insomma più difetti che pregi, ma ciò non si rifletterà probabilmente al botteghino. Il film strizza l’occhio alla cultura pop e a tutto l’hype che aveva generato il primo capitolo, fino a farne quasi un culto.
Però una domanda risulta purtroppo spontanea: un sequel serviva davvero?
Martina Scanferla