26/09/2024

CAMPO DI BATTAGLIA di Gianni Amelio

Si può descrivere l’orrore della guerra senza mostrarla? Questa è l’idea che si pone il regista Gianni Amelio con “Campo di Battaglia”, il suo ultimo film presentato in concorso a Venezia 81. Il 79enne regista calabrese ritorna in gara a Venezia due anni dopo “Il signore delle formiche” per raccontare dalle retrovie la Prima Guerra Mondiale. Il film inizia con una scena di notte dove un soldato italiano gira attorno a una montagna di cadaveri per verificare che qualcuno sia ancora in vita e per recuperare qualche oggetto personale. Improvvisamente un braccio di un milite sopravvissuto sbucherà fuori dal cumulo per richiamare l’attenzione.

La scena si sposta quindi in un ospedale militare lontano dal fronte. Qui sono ricoverati numerosi soldati feriti più o meno gravemente, seguiti da due ufficiali medici compagni di studi nei corsi di medicina: Stefano (l’attore Gabriel Montesi) e Giulio (Alessandro Borghi). Il primo con solerzia sente l’obbligo di rimandare al fronte “i simulatori” e i codardi che si sono procurati da soli le ferite per non tornare in prima linea; il secondo invece per compassione arriva ad ammalare o mutilare quei poveri soldati che non se la sentono più di combattere in una guerra che non sentono loro, oppure perché hanno visto in faccia la morte.

Un giorno arriverà Anna (Federica Rosellini) un’infermiera ex compagna di università che non ha potuto laurearsi a causa della diffidenza degli uomini per gli studi medici delle donne. Nonostante l'affetto per Stefano e Giulio, Anna dovrà scegliere quale delle loro visioni della medicina e del mondo seguire, soprattutto quando un’improvvisa epidemia di febbre arriverà a colpire l'esercito e il Paese. Amelio insieme allo sceneggiatore Alberto Taraglio si è ispirato liberamente al libro di Carlo Patriarca “La sfida” uscito nel 2020 per porre alcune riflessioni: il dramma della Grande Guerra che ha portato migliaia di umili poveracci di tutte le regioni d’Italia (soprattutto del povero profondo Sud) a combattere per la Patria. Inoltre, l’obbligo e il dovere secondo gli ufficiali (medici) di sacrificare per la Patria questa “carne da cannone” per evitare che “solo i furbi” potessero rimanere “a fare l’Italia”.

Infine, il richiamo alla febbre Spagnola che tra gli anni 1918-20 uccise milioni di persone nel mondo per accostarla alla recente pandemia del recente Covid (i camion militari con le salme che richiamano quelli di Bergamo). Sebbene il film sia ben diretto e recitato dai protagonisti, con gli efficaci chiaroscuri della fotografia di Luan Amelio Ujkaj, il tutto risulta un po’ freddo e legnoso nella sua messa in scena e questo rende un po’ monotona nelle sue corde la storia. Rimane l’accusa alla guerra in generale con la sua disperazione.

Andrea Curcione