05/11/2024
The Man Who Left His Will On Film di Nagisa Oshima
Il suo unico testamento è il contenuto presente in una macchina da presa che il compagno Motoki gli aveva prestato, il quale, dopo aver osservato la scena e incurante della morte del giovane regista, decide di riprendersela per studiarne il contenuto.
Ossessione, inganno, incomprensione e immagine sono elementi chiave di questa pellicola del 1970 del regista giapponese Nagisa Oshima, presentata nella sezione Venezia Classici dell’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Oshima, regista di spicco dell’era della Nouvelle Vague giapponese, periodo di forte sconvolgimento sociale e politico caratterizzato dai moti studenteschi, mette in scena una nuova opera di cinema sperimentale.
L’utilizzo di attori alle prime armi, un montaggio che sembra spesso un eccentrico collage di scene e un’estetica minimalista incorniciano un film di carattere metacinematografico che gioca con lo spettatore e che preferisce creare dubbi invece che dare risposte.
L’ossessione di Motoki per la cinepresa lasciata come testamento da Takagi, la necessità di trovarvi un significato profondo che possa rispecchiare il sentimento politico che anima il suo spirito risultano vane davanti alle deludenti immagini di vita semplice e quotidiana riprese dal cineasta.
Ed è proprio tale frustrazione a spingerlo ad intraprendere l’impresa di ricreare morbosamente quelle scene, trascinando con sé la fidanzata di Takagi, Yasuko, che diverrà presto vittima di questa follia.
Visivamente surreale e narrativamente disorientante, The Man Who Left His Will On Film esamina e analizza il potere delle immagini e la loro capacità di dialogare con la realtà in modo innovativo, spesso ingannando, fingendo e cambiando di volta in volta le carte in tavola.
Una pellicola così complessa non ha le pretese di dare risposte ai misteri della vita o della morte, bensì ha l’intento di mettere in scena una piccola illusione, di dare vita ad un’idea, come un sogno ad occhi aperti o la sequenza catturata da una macchina da presa.
Linda Soligo